Polenta siciliana: l’abbinamento è servito

Polenta siciliana un piatto contadino per un abbinamento classico - Cantine Gulino
Anche in Sicilia si mangiava la polenta: si chiamava “Frascatula” ed era una pietanza tipica della più antica tradizione popolare siciliana. Un piatto semplice e povero, con una storia che affonda le sue radici ai tempi dei Romani, e caratteristiche che, come spesso accade, ricalcano e interpretano con originalità e creatività la varietà della Sicilia e dei suoi tanti microcosmi culturali ed enogastronomici. Tutto da scoprire l’abbinamento che abbiamo scelto.

La polenta siciliana: storia e tradizione

Signuruzzu chiuvuti, chiuviti
ca li lavura su morti di siti
mannatini una bbona senza lampi e senza trona.
L’acqua di ‘n cielu sazia la terra
fonti china di pietà
li nostri lacrimi posunu ‘n terra e Diu ‘nni fa la carità
.

Un antico canto contadino siciliano che riecheggia nelle campagne.
Lo sguardo al cielo, per scrutare le nuvole e sperare nella pioggia.
L’eco di saperi antichi radicati e non codificati. Quando il “Signuruzzu” inviava la pioggia, benefica e non dannosa per i campi, era una manna, perché il grano era cibo, pane, sopravvivenza.
Era la vita. Assicurava scorte per i giorni a venire. Ed ecco che, quando si seminava, ci si faceva il segno della croce e, quando si mieteva il raccolto, si intonavano canti religiosi. Il lavoro nei campi era circondato da un alone di fede genuina e di sacralità, un’atmosfera ben diversa dall’allegria della vendemmia con i canti licenziosi e disincantati dei vignaioli in festa tra i filari dei vigneti.

Era dura e frugale la vita di campagna. Ci si dava da fare come si poteva e con quel poco che si aveva a disposizione per mettere il piatto in tavola e nutrire tutti i componenti della famiglia: una cucina semplice e povera, dove però non mancava mai il gusto e un pizzico di inventiva che la rendeva speciale.

Anche in Sicilia, per esempio, si usava preparare la polenta: la frascatula o “polenta del Sud”.

Era un piatto povero dell’antica tradizione contadina diffuso in tutta l’isola, preparato con farina di mais o granoturco e, a seconda delle zone, arricchita e insaporita con le verdure.
La frascatula ci porta indietro nel tempo, all’epoca di Romani, prima che presso questo popolo si diffondesse l’uso del pane. Gli antichi romani erano soliti preparare una pietanza a base di farina di grano, legumi o altri cereali (farro), la “puls”. Mescolata alle verdure o alla carne, si otteneva una minestra molto densa, una sorta di polenta ante litteram che rimase sempre nella tradizione gastronomica romana come pietanza popolare.

La Sicilia, che era il “granaio” di Roma, ereditò e mantenne questa tradizione.

La frascatula ha diversi nomi, legati alle declinazioni locali della ricetta: “arriminata”, paniccia o “piciocia”. Il termine frascatula evoca il francese “flasque” (molle) e la collega alla presenza degli Angioini in Sicilia, sebbene si pensi che fosse diffusa anche in epoca precedente, già ai tempi di Federico II di Svevia.
Nel suo libro “La guerra del Vespro siciliano”, lo storico Michele Amari, nel raccontare gli avvenimenti del 1282, si sofferma sulle donne siciliane che, durante l’assedio di Messina, dispensavano ai combattenti “pane e polenta, dissetandoli d’acqua, mescendo vino”.

Come si preparava la polenta siciliana?

La preparazione della polenta siciliana era abbastanza semplice: si versava la farina a pioggia nell’acqua bollente, si lasciava cuocere per una decina di minuti e si insaporiva con verdure o altri ingredienti, secondo le usanze della zona: ideale come piatto caldo nelle serate invernali, la frascatula era un piccolo capolavoro di gastronomia popolare che le massaie di ogni casa personalizzavano aggiungendo cicoria, finocchietto selvatico, broccoli o cavolfiori. Nel tempo, aumentando il benessere, si cominciò ad aggiungere anche il lardo e la pancetta, per dare più corpo gusto e sapore.

Che vino abbinare alla polenta siciliana?

Sebbene la presenza delle verdure (il broccolo, il cavolfiore) possa far pensare a un vino bianco, abbiamo deciso di optare per un più classico vino rosso, un corposo e strutturato Nero d’Avola, nelle sembianze del nostro Drus, per accompagnare questo piatto dal particolare sapore e consistenza.

Bibliografia:
A. Martano, Il diamante nel piatto. Storia golosa della Sicilia in 100 ricette e cunti, Perugia 2018, Ali&No Editrice.  

Scopri le caratteristiche del nostro Nero d’Avola Drus!

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