Moscato di Siracusa, il vino dolce siciliano tra mito e storia

Il nostro viaggio alla scoperta del Moscato di Siracusa, vino dolce siciliano e tipico del siracusano, comincia da una grande famiglia, quella dei Moscati, che comprende un’ampia varietà di uve a bacca bianca e nera. Elegante, intenso, generoso e aromatico: così il Moscato siciliano che nasce a Siracusa dalle uve di Moscato bianco ha conquistato il mondo.
Vini da dessert il Moscato di Siracusa - Cantine Gulino

Vino da dessert profumato e aromatico, il Moscato di Siracusa, eccellenza tra i vini dolci siciliani, ha conquistato il mondo.

Diffusi in tutta Italia, dal Nord al Sud, i vini Moscati hanno in comune il riconoscibile aroma “muschiato”, evidente già nel nome del vitigno derivato dal latino muscus, a cui si sommano e mescolano inebrianti fragranze di frutta, fiori ed essenze. Tra le tante varietà di questa specie, eccelle il Moscato bianco, antico vitigno a bacca bianca, da cui si ricava anche l’omonimo vino siciliano dolce nelle sue declinazioni locali, tra cui il Moscato di Siracusa

Originaria del Mediterraneo orientale, già gli antichi Greci conoscevano questa varietà di vite che chiamavano Anathelicon Moschaton; poi, stando al racconto delle fonti, ne portarono alcuni ceppi in Sicilia durante i loro viaggi di colonizzazione dell’Italia meridionale. 
Tra i Romani, che contribuirono alla sua diffusione, l’uva del Moscato era conosciuta come apiana, perché prediletta dalle api che, come ricorda Plinio il Vecchio, “ne sono ghiottissime”. 
Columella, altro autore romano, nel suo trattato di agronomia ne distinse tre grandi varietà raccomandate “per grandi doti, tutte abbondantissime di frutto e abbastanza adatte sia alle alberate che ai filari”.

Moscato di Siracusa, il Moscato di Sicilia che custodisce la storia, la tradizione e le leggende della nostra terra.

Correva l’anno 734, forse il 733 a. C.

I Corinzi, guidati da Archia in cerca di una nuova patria, salparono in primavera, la prua rivolta verso Occidente. Imbarcarono ceppi di vite, tra cui quella che comunemente chiamavano Biblina perché prosperava sui Monti Biblini, in Tracia, mitica patria del dio Dioniso.  Le uve erano bianche e dolcissime, molto aromatiche, tratto distintivo del profumato vino Biblino che se ne ricavava. 
Dobbiamo molto ai nostri padri fondatori: diffusero a Siracusa, in Sicilia e poi in tutta Italia, le tecniche di coltivazione e di allevamento della vite che i Romani, poi, continuarono ad affinare nel tempo, migliorando la selezione delle viti e i processi di vinificazione, al punto da ottenere produzioni di elevata qualità esportate in tutta l’area del Mediterraneo. 

La Sicilia sud-orientale divenne il centro di fiorenti traffici commerciali. 

Fu così che il vino, a Siracusa, fu per secoli attività preponderante e solida base dell’economia cittadina. A noi rimane oggi il tesoro prezioso della sapienza degli antichi, che si è mantenuta inalterata nei secoli e sulle cui prescrizioni, ancora oggi, basiamo il nostro lavoro.

Il Moscato siracusano e i Greci: dal vino Pollio a Saverio Landolina Nava

Nel suo libro Vino al vino, lo scrittore e giornalista Mario Soldati annota la piacevolezza del Moscato siracusano, che lo sorprende e affascina anche per via della sua storia: diretto erede del vino “Pollio”, questo nettare dorato, dalle sfumature d’ambra e dolcissimo, era molto amato dagli antichi Greci fondatori di Siracusa.

Lo chiamavano vino Biblino, ma il Moscato, vino dolce di Siracusa, era noto anche come Pollio

L’unico a darci testimonianza dell’esistenza di un vino siracusano rinomato è lo storico Hippis di Reggio, vissuto nel V sec. a. C. In un frammento recuperato da Ateneo, nel suo Deipnosofisti, il mistero è presto svelato: il Pollio siracusano fu così chiamato in onore di un leggendario re, Pollis, che per primo lo produsse a Siracusa da una varietà di vite che era detta “eileos” (tortuosa, che si attorciglia).

Difficile dire chi fosse realmente Pollis: le fonti ne parlano come re (basileus) o tiranno di Siracusa in età arcaica, una figura a metà tra storia e leggenda. E che potrebbe ricollegarsi alla presenza di un gruppo di argivi tra i coloni corinzi fondatori di Siracusa, secondo un’interpretazione parallela e molto suggestiva per cui Archia, l’ecista, discenderebbe da un ramo argivo degli Eraclidi.

Racconti di vitigni siciliani: la figlia del re e il servo.

A un altro tiranno – Falaride – è associata una leggenda che, in qualche modo, aggiunge ulteriori considerazioni e notazioni sulle peculiari caratteristiche del Moscato di Siracusa.
Falaride aveva una figlia cieca. La fanciulla era ghiotta dell’uva dolce che cresceva sui tralci di vite di un vitigno della sua città. Questa vigna, custodita come un tesoro prezioso, era sorvegliata da un servo che aveva l’incarico tenere lontani, cacciandoli con un ramoscello, gli insetti, in particolare le api, che si posavano sui chicchi d’uva e li danneggiavano. Un giorno il servo, vinto dalla fatica e dalla calura del giorno, si addormentò. Al suo risveglio, si accorse con sgomento che le api avevano bucherellato gli acini d’uva. Quando, però, giunse la fanciulla e ne assaggiò, com’era sua consuetudine, uno, fu entusiasta del nuovo sapore: era completamente diverso dal solito, infinitamente più dolce. Se fosse stata – si interrogarono tutti – la dea Demetra a causare il sonno del servo in modo che le api si posassero sull’uva, rompessero la buccia e conferissero così agli acini quella soave dolcezza?

Un fatto è certo: Plinio il Vecchio ci ricorda che l’uva del Moscato era detta anche apiana, perché era talmente dolce da attirare le api e competere con il miele da loro prodotto.

In generale, edùs e glukùs erano gli aggettivi usati più di frequente per indicare le caratteristiche precipue e le indiscusse qualità del vino derivato da questo vitigno: il suo profumo era, inoltre, così intenso che, a partire dal 1200, oltre a designare vini dolci aromatici, destinati a un pubblico d’élite, il termine Moscato entrò nel linguaggio comune come sinonimo di aromatico, profumato, speziato.

Fu Saverio Landolina Nava a dissolvere le nebbie che ammantano di mito questo vino siciliano: in un trattato che scrisse su questo argomento, il celebre archeologo siciliano (Catania 1743 – Siracusa 1814) ipotizzò che il Pollio fosse davvero l’antenato di quel Moscato siracusano da lui tanto apprezzato e raccomandato agli amici, ai quali ne decantava le lodi perché “non era debole, non aspro, non ingrato a bere, ma spiritoso, dolce e soave”. 

È, forse, il Moscato di Siracusa il vino più antico d’Italia? 

Saverio Landolina era, tra l’altro, quasi astemio, ma amava degustare i vini siciliani per coglierne gli aspetti più caratteristici, inviandone poi le bottiglie agli amici definendo la bevanda “linfa divina della terra di Sicilia”. 

I vitigni di Moscato, insieme ad altri vitigni siciliani, hanno rischiato di scomparire del tutto alla fine dell’800 a causa della fillossera. Nel 1973 e nel 2011, sono stati approvati due disciplinari per attribuire la denominazione di origine controllata (DOC) ai vini dolci siciliani Moscato prodotti nell’area geografica del siracusano, definendo requisiti e condizioni per la tutela e valorizzazione di questa eredità lasciata dai Greci che, come un bene prezioso, va custodita e protetta.

Vinificazione Moscato: dalla vendemmia al vino, come si produce il Moscato di Siracusa?

Siracusa è zona di Moscati. Sebbene sia coltivato in molte parti d’Italia e soprattutto in Sicilia, il Moscato è un vitigno particolarmente esigente e predilige i terreni calcarei tipici della zona del siracusano, con livelli di umidità non eccessivi e una buona escursione termica. 

Le uve di Moscato, a Siracusa, bene si prestano all’appassimento e alla spumantizzazione. Quando l’estate è nel vivo, durante il mese di agosto, inizia la raccolta dell’uva di Moscato. È il momento in cui è ricca di zuccheri e sprigiona al massimo il suo aroma così intenso.  Se ne raccoglie subito una parte, il resto rimane sulla pianta e continua la maturazione. 

La prima uva raccolta appassisce al sole su un cannicciato appositamente predisposto dentro una piccola serra, protetta da un telo di plastica per preservare l’uva in caso di maltempo.

Trascorsi alcuni giorni – dipende dalle temperature – e constatato che l’uva è sufficientemente appassita, inizia la raccolta del resto dell’uva in sovramaturazione sulla pianta. Solo dopo questo passaggio, la prima uva raccolta si unisce alla restante parte e il risultato, dopo un attento processo di vinificazione in cantina sarà il vino dolce Moscato di Siracusa. 

Nella scena quinta del secondo atto dell’opera lirica di Donizetti Lucrezia Borgia, il coppiere versa a tutti il “vino di Siracusa”, suscitando l’apprezzamento dei convitati – “ottimo vino!” – e “un allegro canto”.

Conosci il nostro Moscato di Siracusa Don Nuzzo? Noi lo degustiamo cosi!

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