Moscato, vini aromatici che hanno fatto la storia

Odorosi e profumati, i vini Moscato sono un orgoglio della viticoltura italiana. Un vitigno, il Moscato bianco, uno dei più antichi al mondo, e una famiglia di vini ricca e variegata che ha saputo conquistare il mondo. Oggi lasciamo spazio al vino e ci abbandoniamo al suo racconto che è anche la storia della nostra terra.
Moscato, vini aromatici che hanno fatto la storia - Cantine Gulino

Il Moscato, un vino che va oltre il tempo, un vino che ha fatto la storia

Il pranzo fu allegro come quello dell'anno precedente. Si mangiò sull'erba, si ballò sull'erba, e si buttarono sull'erba le bottiglie dopo che ne furono fatti saltare i turaccioli. Si ciarlò del castello, di memorie storiche, dei Normanni e dei Saraceni, della pesca delle acciughe e dei secoli cavallereschi, e tornarono in campo le vecchie leggende, e si raccontò di nuovo a pezzi e a bocconi la storia che Luciano avea raccontato la prima volta in quel luogo medesimo, e che alcuni nuovi venuti ascoltavano con avidità, digerendo tranquillamente, ed assaggiando il buon Moscato di Siracusa.

Mi presento: mi chiamo Moscato di Siracusa, ma qualcuno, in passato, mi ha chiamato anche “vino di Siracusa”.
Appartengo alla grande stirpe dei vini Moscato.

Nell’antichità sono stato il Pollio siracusano, creato da un mitico re di Siracusa, tale Pollis, forse argivo di origini, forse trace. Una figura leggendaria più che storica, ma pare che a lui io debba questo nome: ero un umile vino, all’epoca, dolcissimo, profumato. Nascevo da uno dei vitigni che gli antichi Greci colonizzatori avevano portato nel loro viaggio per mare fino alle coste ioniche della Sicilia. Tanto tempo fa.

Lo storico latino Eliano così mi appellava: “laudatissimum erat Syracusanis Polium vinum”.

Per gli studiosi più moderni, fra tutti il buon vecchio Saverio Landolina Nava, sono stato il primo vino in assoluto a essere prodotto in Italia e in Europa, vinificato dal vitigno conosciuto come Moscato bianco, di cui Moscato siracusano era un sinonimo.
Un primato non indifferente, insomma.
Gli studi genetici, oggi, non solo hanno confermato che il vitigno da cui nasco, il Moscato bianco, ha antichissime origini, ma anche che si può considerare il capostipite della grande, ricca e corposa, famiglia dei “Moscati”, cui afferiscono una incredibile e sfaccettata varietà di vitigni e vini siciliani, come il Moscato di Siracusa, il Moscato di Noto e il Moscato di Pantelleria; vini italiani, come il Moscato di Canelli, di Strevi, dei Colli Euganei, di Montalcino, di Trani, di Tempio; vini europei come il Muscat de Frontignan (Francia) e il Moscatel de grano menudo (Spagna).
Sono onorato di essere parte di questa così numerosa e importante famiglia di vini, anche se – consentitemelo – ho più di 2750 anni di storia alle spalle rispetto ai miei fratelli, nati dopo di me.

Dove viene prodotto il vino Moscato?

È, ormai, risaputo che il Moscato bianco sia uno dei più diffusi vitigni al mondo, nonostante prediliga specifiche condizioni pedoclimatiche e prosperi in determinate zone: in Piemonte, nella zona di Canelli (Alessandria), in Toscana, nella zona di Montalcino, in Puglia e in Sardegna, in Sicilia, nella zona del siracusano, dove trova terreni calcarei, porosi e friabili e un perfetto clima mediterraneo che favorisce lo sviluppo di un’ottima qualità di uve Moscato.

Lo confesso: vicino al mare do il meglio.
Giuseppe Di Rovasenda, autore nel 1800, di un Saggio di Ampelografia Nazionale, scriveva di aver ricevuto Moscato da più parti d’Italia: da diverse parti del Piemonte, della Lombardia, dell’Emilia, della Toscana, delle Marche, della Sicilia, della Sardegna, nonché da varie parti della Francia), e appurava che “in generale, una sola è la qualità che si coltiva per la confezione dei vini bianchi”. Il Moscato, appunto.

Le origini del vino Moscato

Se mi guardo indietro e ripenso alle mie remote origini, posso immaginare l’ondeggiare della prua tra le onde, la nave lanciata verso l’orizzonte, la speranza riposta in quella terra nascosta, meravigliosa e selvaggia in cui i Greci s’imbatterono, attratti dai due porti naturali dell’isola di Ortigia. Ha viaggiato in lungo e in largo l’uva da cui nasco, il Moscato bianco, l’uva Biblina. Dal Medio Oriente, luogo della sua origine, ha attraversato il Mediterraneo e ha raggiunto le coste ioniche della Sicilia, dove è sbarcata nell’VIII sec. a. C. insieme ai coloni provenienti da Corinto che qui fondarono la città di Siracusa, la mia patria. Ha avuto tanti nomi, il mio vitigno: per gli antichi Greci era Biblino, perché l’uva nasceva sui Monti Biblini della Tracia; nell’Odissea, ero un “vino dal gusto di miele”; Esiodo, nelle Opere e i Giorni descrive un vitigno originario dell’Anatolia, Asia Minore, i cui acini avevano il sapore del muschio; i Greci lo conoscevano come Anathelicon Moscaton e, successivamente, anche i Romani impararono ad apprezzare i vini nati, come me, da uve che chiamavano apianae, così dolci da attirare le api.
Da Siracusa e dalla Sicilia, il Moscato non si è mai fermato: ha proseguito lungo la penisola italiana per poi raggiungere il Nord della Francia, la Svizzera, il Sud della Germania. Lungo la strada si è unito ad altre specie, determinando così un’ampia ricchezza varietale e numerosi vini di pregio.
Una grande famiglia di Moscati, accomunati da una caratteristica unica e 
inconfondibile, che ci rende diversi dagli altri e anche un po’ speciali: l’aroma muschiato. Siamo vini longevi, capaci di conservare a lungo, nel tempo, questi profumi intensi, mutevoli, inebrianti.

Cosa significa vino Moscato?

 

Secondo l’etimologia del nome, il nome “Moscato” deriverebbe dal sanscrito “muskà” e dal persiano “musk”: termini che, come vi ho detto prima, alludono alla caratteristica primaria dell’uva di questo vitigno, odorosa e profumata, e all’intensa e riconoscibile aromaticità dovuta all’elevata concentrazione di terpeni, le molecole responsabili del tipico aroma che riscontriamo poi nel vino. I nostri profumi spaziano dalla menta, alla salvia e alla citronella, ai datteri e ai fichi, ma soprattutto alla frutta gialla, come pesca bianca e albicocca, melone, susine.

Che tipo di vino è il Moscato?

 

Edùs e glukùs erano i termini con cui più di frequente gli antichi descrivevano le mie indubbie qualità. Il mio conterraneo Teocrito, illustre poeta siracusano vissuto nel IV se. a. C., sosteneva che il vino Moscato era l’emblema del “bere soave”. E, con il suo piglio sempre molto severo, Archestrato di Gela ripeteva sempre che, “messo a confronto con il vino di Lesbo – rinomato in tutto il mondo greco e paragonabile all’ambrosia – il Biblino era preferibile per gli odori sprigionati dalle sue uve e la fragranza che nemmeno con il trascorrere del tempo perdeva intensità”.

So invecchiare benissimo.

Questo per dirvi che l’aromaticità è ciò che ha sempre contraddistinto i vini nati, come me, dal Moscato.
Al punto che, a partire dal 1200, oltre a designare vini dolci aromatici, destinati a un pubblico d’élite, il termine Moscato entrò nel linguaggio comune come sinonimo di aromatico, profumato, speziato.
Siamo, dunque, tutti vini aromatici, nati da un unico, storico e conosciuto ormai in tutto il mondo, vitigno capostipite, il Moscato bianco. In questa ampia famiglia ci sono più di duecento varietà di uva da vino e da tavola, a bacca bianca e a bacca nera, tutte accomunate da questo caratteristico aroma di muschio o di noce moscata che ci rende così unici e memorabili.
Dal Moscato bianco nascono vini dolci, come me, Moscato dolce di Siracusa. Ma ci sono anche vini secchi, passiti e spumanti. Con questi vini, nel corso dei secoli, hanno banchettato re e nobili, che li amavano per la loro inconfondibile, accattivante, inebriante soavità del bere, per la loro capacità di immergerli in atmosfere immaginifiche ed evocare terre e paesaggi lontani, con il sole a riscaldare la terra e il mare a profumare l’aria.
Se aveste la possibilità di trascorrere qualche giorno a Siracusa nel mese di agosto e di passare a visitare quest’antica cantina siracusana, dove vengo prodotto ormai dalla fine del ‘700, vi trovereste di fronte a uno spettacolo unico: una splendida distesa di acini dorati ad appassire al sole sopra graticci di canne, il profumo intenso dell’uva si spande nell’aria, le api a ronzare tutt’intorno.

Sì, lo confesso: il mio è un invito ufficiale.

Che differenza c’è tra Passito e Moscato?

 
 

A proposito della vinificazione del Moscato, Esiodo, parlando di me, il vino Pollio, diceva che “le uve restano al sole per dieci continui giorni”, mentre Plinio consigliava di lasciarle seccare per sette giorni, “tenendole sollevate sette piedi da terra e difendendole la notte dalla rugiada.”
A volte vengo facilmente confuso con il mio fratello gemello, il passito.

Capita di usare i termini “Moscato” e “Passito” come fossero sinonimi, anche se in realtà una differenza c’è e la si apprezza in degustazione.
Qui, nella cantina dove vengo prodotto, si raccoglie il grosso dell’uva del Moscato stramatura, con una passitura su pianta non totale. Una piccola percentuale di uva ancora non stramatura, però, viene raccolta e stesa al sole sui graticci di canne per un appassimento almeno del 50%.
Alla fine, si vinifica tutto insieme: l’uva stramatura raccolta dai filari e la parte di uva messa precedentemente ad appassire sul cannicciato.
L’uva Moscato per il passito, invece, si raccoglie stramatura e stesa tutta al sole sui graticci di canne, in modo da ridurre il peso dell’uva almeno del 50% e disidratarla completamente, concentrando gli zuccheri e le componenti aromatiche.

Oltre me, che sono un vino dolce Moscato di Siracusa, in cantina ci sono anche i miei due fratelli: Jaraya, che è un passito; Eileos, il più giovane, ma con un bel caratterino, un vino bianco Moscato secco. 

I nostri vini Moscato: Don Nuzzo, Jaraya, Eileos

Sembra che abbia catturato i raggi del sole e li abbia custoditi per noi, per permetterci di goderne ogni volta che lo desideriamo.
Mentre versiamo questo meraviglioso nettare nel bicchiere, il tempo sembra rallentare: gli aromi e i profumi intensi si spandono nell’aria, solleticano i nostri sensi. La dolcezza in bocca non è mai fastidiosa, eccessiva, stucchevole: è soave, delicata, piacevole.

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